Cosa abbiamo imparato da questa pandemia?
LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 09 maggio 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: DISCUSSIONE/AGGIORNAMENTO]
La prima cosa, la più evidente nella sua tragica realtà, è che la medicina
è una missione. Lo è per sua natura, da quando è nata presso i popoli più
antichi ed è stata onorata nel suo valore, attraverso i secoli, dal sacrificio
di coloro che hanno dato la propria vita per salvare quella degli altri. Si spera
sia chiaro anche a coloro che, con barbara ignoranza, hanno cancellato il nome
e la storia delle opere di etica e ingegno umano che sono state modello di
valori per altri paesi, per chiamarle “aziende”, ossia imprese che realizzano
un prodotto per ottenere un profitto, negando la natura dell’intervento medico
che pone in questione l’inestimabile della vita e della salute. È evidente
anche a un bambino che la gestione economica e amministrativa richieda una
struttura aziendale, ma è altrettanto evidente che questo servizio è una
necessità di supporto, non lo scopo dell’impresa morale e scientifica. Non è
una “questione di nomi”, come stupidamente qualcuno proponeva per minimizzare
ai convegni, ma una questione sostanziale di distorsione del primario senso
culturale e dell’essenziale funzione sociale.
Due grandi prototipi hanno dominato la cultura occidentale e influenzato la
concezione della medicina in tutto il mondo: il modello ippocratico e il
modello cristiano. Entrambi hanno posto il fine della salute del paziente al di
sopra di ogni altro vincolo di interesse materiale, lontano dalla bassezza dell’uso
strumentale della professione e addirittura in contrapposizione con le attività
volte al profitto.
Sul Giuramento di Ippocrate sono stati versati i proverbiali fiumi
di inchiostro e non è questa la sede per affrontare una materia tanto vasta e
complessa, ma è opportuno solo ricordare che dal quarto secolo a.C. i medici
giuravano chiamando a testimoni tutti gli dei per un patto trascendente che li
vincolava al rispetto di norme morali non negoziabili e slegate da ogni
interesse materiale.
Il modello cristiano, nel primo secolo rappresentato per molti da
quel colto medico siriano che redasse il terzo Vangelo e gli Atti degli
Apostoli, ossia San Luca Evangelista, è stato spesso identificato da cattolici,
protestanti e ortodossi con lo stesso Gesù Cristo, che guariva il corpo per
guarire l’anima, unendosi al paziente nel compimento della volontà del Padre[1]. La medicina concepita come un’elevata
forma di carità è stata all’origine delle maggiori istituzioni mediche del
nostro paese e il modello cristiano del dono di sé ha annoverato una
moltitudine di ricercatori, clinici e medici missionari che sono morti per la
vita degli altri.
Se si concepiscono le istituzioni mediche come aziende di prodotto e
profitto, e le si amministra secondo quel modello cercando di ottenere consensi,
allora perché continuare ad avere ospedali interi o reparti dedicati alle
malattie infettive contagiose se “nel trend attuale questo prodotto non tira”? Come
fanno i grandi manager, che per far quadrare i conti delle holding chiudono
le aziende in rosso, sono stati progressivamente ridotti i reparti strutturati
ed equipaggiati per l’isolamento dei pazienti e la protezione del personale
sanitario. Stesso discorso per le unità e i posti-letto in terapia intensiva: secondo
i criteri del mercato, la “domanda si era ridotta”, dunque è stata ridotta l’offerta.
A fronte dei 28.000 posti assistiti per la terapia intensiva disponibili in
Germania, in Italia se ne contano solo 5.000. In precedenza, abbiamo ricordato
che, secondo un ex-primario del Forlanini ritornato in servizio per l’emergenza,
questa differente disponibilità spiegherebbe in gran parte l’enorme differenza
di mortalità fra Germania e Italia[2].
Nel mondo, purtroppo, si registrano continuamente epidemie a rischio
pandemico e sono innumerevoli le cause che possono improvvisamente accrescere
il numero di posti richiesti in terapia intensiva. La lezione che viene da
questa pandemia è che le istituzioni mediche devono essere gestite sulla base della
conoscenza scientifica secondo criteri di prudenza dettati dalla responsabilità
etica, anche quando questo comporta dei costi incomprensibili per quanti ignorano
la medicina.
Purtroppo, temiamo che chi doveva imparare la lezione non l’abbia ancora imparata.
Il futuro prossimo ci dirà se siamo stati troppo pessimisti o solo crudamente
realisti.
Durante la raccolta settimanale di informazioni e aggiornamenti sugli studi
in corso su SARS-CoV-2 ci siamo imbattuti in un argomento non virologico che sta
tenendo banco nella comunicazione scientifica di questi giorni: per affrontare
le conseguenze economiche della pandemia, ciascun paese sta predisponendo
programmi finalizzati a ridurre la disoccupazione e stabilizzare le industrie
fondamentali e le attività strategiche per favorire la ripresa dalla crisi, ma
solo pochi paesi hanno deciso di approfittare di quanto il lock-down ci
ha insegnato in materia di ambiente. Ora sappiamo che è possibile ottenere
subito risultati utili, riducendo le emissioni, e questo dovrebbe incoraggiare
il cambiamento nelle politiche energetiche e industriali di tutto il mondo, per
cercare di far fronte a un problema che si presenta in tutta la drammaticità
degli eventi recenti legati ai cambiamenti climatici.
Rosenbloom e Markard hanno osservato su Science[3] che il German Council of Economic
Experts ha presentato un documento di 110 pagine sulla crisi da SARS-CoV-2
senza menzionare i cambiamenti climatici e la sostenibilità. Al contrario, 17
ministri europei del clima e dell’ambiente hanno richiesto alla Commissione
Europea di considerare il “Green Deal” centrale per il recupero seguente la
pandemia.
Anche in questo caso vedremo, si spera a breve, se la lezione è stata
appresa.
Venendo ora più specificamente alle questioni riguardanti direttamente il
nuovo coronavirus, bisogna sottolineare che da gennaio a oggi abbiamo imparato
molto, anche se i cambiamenti di atteggiamento deducibili dalle nuove ricerche
non sono stati oggetto di una corretta comunicazione mediatica basata su
espliciti errata corrige delle indicazioni dedotte da alcuni virologi prima
degli accertamenti sperimentali. In proposito, si vedano i paragrafi “2” e “3” dell’articolo
dello scorso 25 aprile[4], pubblicato anche tra gli
aggiornamenti nella sezione “In Corso” del sito.
Da Mart M. Lamers e il suo nutritissimo gruppo olandese guidato da Hans Clevers
abbiamo avuto le prove che SARS-CoV-2, virus respiratorio, presenta anche un
tropismo intestinale, infettando gli enterociti: il recettore del nuovo
coronavirus, ACE2, è altamente espresso anche in queste cellule dell’intestino,
che supportano la sua replicazione e l’ulteriore diffusione nell’organismo[5].
La replicazione di SARS-CoV-2 che consente l’infezione dell’organismo
richiede la RNA polimerasi RNA-dipendente, che costituisce un bersaglio del
farmaco Remdesivir. Wanchao Yin e colleghi hanno studiato questa interazione,
realizzando un modello per lo sviluppo di nuovi farmaci che potrebbero bloccare
l’infezione[6].
Qiang Gao e colleghi hanno realizzato un candidato vaccino purificando e
inattivando SARS-CoV-2. Il cimento sperimentale ha dimostrato lo sviluppo in
topi, ratti e primati non-umani di anticorpi neutralizzanti 10 ceppi diversi di
SARS-CoV-2 scelti fra quelli più rappresentativi. I risultati supportano il
passaggio alla sperimentazione clinica[7].
Per analizzare la complessa realtà dei processi della COVID-19 è necessario
studiarla nell’organismo umano, ossia su volontari che accettano di sottoporsi
a un’infezione controllata di SARS-CoV-2. Questo argomento ci riporta allo
spirito della missione ippocratica o cristiana che vede tanti tra medici, ricercatori
e studenti offrirsi in tutto il mondo quali volontari che si lasciano prima
infettare e poi si sottopongono alla somministrazione di un candidato vaccino o
di un farmaco da sperimentare. Annette Rid e ventuno colleghi hanno affrontato
il problema dell’etica di questo tipo di sperimentazione che, nonostante la
libera decisione dei volontari, potrebbe essere vietata dalle commissioni di
bioetica. Gli autori dello studio giungono alla conclusione che l’alto
valore sociale costituisce la fondamentale giustificazione per questo
genere di studi[8].
L’ultimo aggiornamento in ordine temporale è di venerdì 8 maggio e consiste
in un saggio sulla prevenzione della patologia COVID-19 di due professori di
malattie infettive, rispettivamente della University of North Carolina a Chapel Hill e della University of Washington a Seattle,
ossia Myron S. Cohen e Lawrence Corey.
Cohen e Corey dichiarano di voler mettere a frutto la
lezione appresa da 40 anni di studio dell’HIV nell’affrontare la prevenzione del
contagio da SARS-CoV-2: la questione nodale consiste nel combinare strategie
mediche e non mediche. Il primo passo è stato già compiuto e consiste nel cambiamento
comportamentale.
All’inizio dell’epidemia di AIDS si raccomandava l’astinenza sessuale per
coloro che non avessero un partner fisso e sano o l’uso del condom
per quanti fossero incapaci di astenersi, e i governi intervenivano chiudendo stabilimenti
balneari, bagni pubblici e altre attività che potevano favorire la trasmissione
dell’HIV, ottenendo risultati apprezzabili. Così, per SARS-CoV-2, il
confinamento in casa con le misure igieniche e l’adozione di distanziamento
sociale, mascherina e guanti nelle occasioni di uscita ineliminabile, hanno già
sortito effetti significativi nella riduzione progressiva ma costante dei nuovi
contagiati. Man mano che si scoprono particolari caratteristiche del virus è
necessario introdurre la ratio comportamentale che deriva dalle nuove
acquisizioni nel costume generale, affermano gli autori, che sembra abbiano
letto il nostro già citato articolo dello scorso 25 aprile.
Qual è la concentrazione minima richiesta per la trasmissione? Cohen e Corey affermano che la revisione delle evidenze raccolte
documenta che il massimo potere di contagio SARS-CoV-2 lo esprime nelle fasi
iniziali dell’infezione di un soggetto prima dello sviluppo dei primi sintomi.
Questo dato è coerente con quanto da noi affermato sulla base delle curve di
diffusione, e denuncia l’assoluta inadeguatezza – come affermiamo dall’inizio
dell’epidemia – del criterio della temperatura corporea. Infatti, quando una
persona è individuata col termoscanner, se la
febbre è dovuta a SARS-CoV-2, ha già espresso il suo massimo potere di
contagio.
Cohen e Corey in proposito affermano che non si sarebbe
dovuti cadere in questo errore per SARS-CoV-2, perché questa lezione l’avevamo
già imparata per il virus dell’AIDS: anche l’HIV esprime la sua massima
capacità di contagio nelle persone sieropositive che godono di ottima salute,
prima dell’esordio delle manifestazioni cliniche che poi conducono alla grave
immunodeficienza. Dunque, è opportuno e prudente considerare potenzialmente
affetti, anche se asintomatici, tutti coloro che hanno avuto contatti con
persone ammalate o con ambienti in cui la probabilità della presenza del virus
è elevata.
Il primo trattamento antivirale per l’HIV, ossia l’AZT, prolungava la vita
di 18 mesi e fu importante perché trasformò la diagnosi di AIDS da sentenza di
morte a riscontro di una malattia grave ma trattabile. Impiegata con successo
nella prevenzione della trasmissione madre-figlio, l’AZT divenne il farmaco
della profilassi pre-esposizione e suggerì studi
finalizzati sul trattamento come prevenzione. Gli antivirali attualmente
impiegati nell’infezione da HIV riducono la carica virale al punto tale che le
persone affette in trattamento non sono più contagiose.
Gli antivirali a lunga durata d’azione e gli anticorpi
monoclonali neutralizzanti SARS-CoV-2, che avranno superato le
valutazioni cliniche, dovranno essere impiegati per la profilassi prima,
durante o dopo l’esposizione al virus. Per quanto riguarda gli
anticorpi monoclonali, una combinazione concepita per prevenzione e trattamento
entrerà nella fase di trial clinico nel prossimo mese di giugno.
Per quanto riguarda il vaccino[9], che avrà un ruolo insostituibile
nel quadro generale, Cohen e Corey forniscono un dato
preliminare, che si spera possa mutare col prosieguo della sperimentazione: la
maggior parte dei trial in corso sono stati concepiti per dimostrare il
60 o 70% di efficacia preventiva, non per il 100% di protezione.
In conclusione, i due autori dello studio affermano che la combinazione
saggia e ragionata di tutte le misure indicate potrà consentire di debellare
questa minaccia ancora incombente sul genere umano.
Gli autori
della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la
correzione della bozza e invitano alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Lorenzo L.
Borgia & Roberto Colonna
BM&L-09 maggio 2020
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] David Stevens with Gregg Lewis, Jesus M. D. – A Doctor Examines
the Great Physician. CMA. Zondervan, Michigan 2001.
[2] Note e Notizie 25-04-20
Aggiornamenti sulla protezione da SARS-CoV-2. Sicuramente si dovranno
analizzare dettagliatamente tutti gli aspetti, dalla biologia molecolare dei
mutanti più frequenti in Lombardia
e in altre aree del Nord Italia a tutte le misure adottate nei due paesi, per
cercare di comprendere il divario di decorso e mortalità. Ma almeno una parte
della differenza può avere questa spiegazione, se è vero che in Germania,
disponendo di 28.000 posti potevano ricoverare in intensiva anche prima di un’indicazione
assoluta, mentre in Italia nelle fasi critiche sono rimasti fuori della terapia
intensiva anche pazienti per i quali sussisteva un’assoluta necessità.
[3] Cfr. Science 368 (6490):
447, May 2020.
[4] Note e Notizie 25-04-20 Aggiornamenti
sulla protezione da SARS-CoV-2.
[5] Cfr. Science – Epub ahead of print doi: 10.1126/science.abc1669,
2020.
[6] Cfr. Science – Epub ahead of print doi: 10.1126/science.abc1560,
01 May, 2020.
[7] Cfr. Science – Epub ahead
of print doi: 10.1126/science.abc1932, 06 May 2020.
[8] Cfr. Science – Epub ahead of print doi:
10.1126/science.abc1076, 07 May 2020.
[9] Ricordiamo che attualmente vi
sono nel mondo 52 candidati vaccini, sicché le affermazioni dei due autori
potrebbero essere smentite dalla sperimentazione condotta con gli altri
candidati.